Il rancore- introduzione
Autore: Maria Deledda
Ci sono casi in cui pensiamo di avere a che fare con una negoziazione “difficile”, ma in realtà abbiamo a che fare con altro.
Sto parlando di situazioni che sono frequenti nella dimensione personale (es. certe discussioni eterne tra parenti per questioni inerenti la successione; certi divorzi in cui si discute all’estenuazione della divisione di alcuni beni) ma non esclusive ad essa (es. conflitti tra soci per la gestione di aspetti societari).
Tutti conosciamo situazioni simili:
I piatti del servizio di famiglia, che la mamma usava per il pranzo della domenica, e che mia sorella si ostina a tenere anche se la mamma li aveva promessi a me.
La poltrona regalata dallo zio per il matrimonio, e che ora il mio ex/ la mia ex non mi vuole restituire.
La gestione della divisione X della società, che io ho creato e che sta andando in rovina per colpa del mio socio, che non vuole farsi da parte.
In casi del genere può capitare che il conflitto sul “bene” travalichi i limiti dell’oggetto in sé o della pretesa in sé e che diventi qualcos’altro; ci raccontiamo allora che stiamo subendo un torto, che il parente, l’ex coniuge, il socio sono la fonte dei nostri mali, e che fino a quando non cederanno sulla tal cosa noi non saremo felici.
Tipicamente in questi casi un osservatore esterno dirà “ma che ti importa di…” e riceverà uno sguardo stupito o scandalizzato della serie “tu non capisci”.
Ora, può essere facile scambiare casi del genere con una negoziazione difficile con una controparte che irragionevolmente ci nega una certa cosa, e pensare che il nostro problema sia vincere l’irragionevolezza o la pervicacia con cui l’altra parte ci nega quella cosa; che quella cosa, e l’atteggiamento ingiusto di quella persona sono l’ostacolo tra noi e la felicità. Questo pensiero può arrivare ad occupare gran parte delle nostre giornate, fino a diventare un sottofondo costante di tutto.
Se vi riconoscete nei brevi accenni sopra, sappiate che siete caduti nella trappola solipsistica del risentimento o (peggio ancora) del rancore, dal quale liberarsi può non essere facile.
E’ un argomento complesso e ne riparleremo; qui interessa evidenziare come queste situazioni nulla hanno a che fare con le negoziazioni difficili (lo ripeto per la terza volta) e molto invece con un dialogo interiore irrancidito, che ha perso ogni contatto con la realtà.
Si tratta di situazioni in cui la “storia che raccontiamo a noi stessi” di torto subito e di rancore, in una continua ruminazione mentale, diventa nel tempo una parte della nostra identità; il rancore a poco a poco si trasforma in vera e propria ragione di vita.
E’ per questo che molti preferiscono rimanere attaccati al loro conflitto piuttosto che liberarsene e darsi la chance di una nuova vita, libera. Molti preferiscono l’infelicità del rancore (che è un magnifico alibi) piuttosto che liberarsi dal rancore e pagarne il prezzo (che è fatto di solitudine; fine degli alibi; responsabilità verso se stessi, la propria felicità e la propria realizzazione).
Cosa c’entra con la negoziazione? Nulla, lo ripeto per la quarta volta.
Se vi ritrovate nella situazione descritta per un conflitto personale o di lavoro, sappiate che il vs conflitto si è incistato e vi ha mangiato vivi….; si è trasformato in una ragione di vita, in una parte della vostra identità. La strada per uscirne può essere lunga, e difficilmente si riesce a percorrerla senza un aiuto esterno.
Ne riparleremo perché è un tema importante.
Vi lascio per ora con le parole di Mandela:
L’odio è quel veleno che beviamo sperando uccida l’altro